Il bello è veramente soggettivo?

Disamina critica sulla definizione di "bello" in ambito di verde pubblico.

Mia Nonna Paolina mi ripeteva spesso una delle sue sagge massime: Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace.

Considerazione assolutamente condivisibile e tutto sommato moderna per il contenuto di libertà espressiva che porta con sè; ma, approfondendo il concetto,  se ognuno ha il sacrosanto diritto di manifestare il suo gusto estetico personale e unico, come più e meglio si sente a suo agio -nel vestirsi, nel taglio di capelli, nella progettazione e realizzazione del Giardino della propria casa- invece,  forse in ambito collettivo e pubblico, sarebbe giusto soffermarsi un momento e riflettere se questa libertà estetica sia corretta e da perseguire oppure lasciarsi guidare da altri dettami.

È chiaro che, nel momento in cui si passa dalla sfera privata a quella collettiva, le scelte devono o dovrebbero abbracciare il maggior numero possibile di preferenze, consapevoli che tutti non potranno essere soddisfatti, proprio perché ogni essere umano è unico e irripetibile.

Quindi, basandosi su questo assunto, il legislatore promulga codici e normative che servono a scandire, dare e mantenere un ordine pubblico, a volte tagliando, altre aggiungendo, vietando o promuovendo a seconda del contesto, del buon senso, normative igienico sanitarie e del buon vivere in una società eterogenea composta da decine di migliaia di individui con gusti distinti.

Allo stesso modo, anche il verde pubblico è normato e realizzato secondo un Codice civile e un metodo. Come l’architettura classica che, non solo risponde a un bisogno tecnico e pratico nell’edificazione di spazi pubblici, edifici.., così anche la disciplina che si occupa del verde, l’architettura del paesaggio trascende la pura tecnica e persegue l’estetica. Sono discipline scandite da regole scientifiche, ma la massima aspirazione degli architetti è rendere bello ciò che è funzionale.

Vi faccio un esempio, se fate progettare a un ingegnere un’abitazione con pianta 10×10 mt, questi, con grande probabilità, per sua deformazione professionale svilupperà un solido cubico, per ottimizzare risorse, costi costruttivi, efficienza energetica.
Ineccepibile dal punto di vista teorico/pratico. Ma, vi chiedo, vi sembrerebbe anche bello?

La storia dell’umanità ci dice il contrario, ovvero, che da quando esistono le possibilità tecniche e intellettuali, l’uomo ha alzato l’asticella dell’architettura e la struttura sulla quale poggiavano gli edifici dell’antichità, quella trilitica, la più solida e semplice da innalzare, ha lasciato via via il posto a soluzioni che oltre alla funzione tecnologica, appagassero di più lo spirito estetico che è proprio dell’animo umano, quello che solitamente definiamo estro creativo.

La porta dei Leoni a Micene, con la sua struttura trilitica classica

Quindi, ecco fare la comparsa le volte a botte o a fazzoletto, le colonne tornite e non più lisce; i timpani triangolari hanno lasciato il posto a cupole e via dicendo sino ad arrivare alla scoperta e al dominio di nuovi materiali e tecniche costruttive per spingere l’Ars aedificatoria verso orizzonti impensabili fino a quel momento. Metallo vetro, plastica , carbonio hanno contribuito a rendere possibili strutture maestose, che sfidano le leggi della fisica stessa, ingentilendo al contempo le linee del design della progettazione urbana e del paesaggio sino ai tempi odierni.

Ma il fatto di possedere le competenze tecniche necessarie a innalzare edifici mirabili, per quanto prove formidabili di ingegneria e architettura, li rende automaticamente belli?

il Teatro Maggiore di Verbania, un esempio di come con tecnologie e tecniche moderne si possono realizzare edifici e strutture “non convenzionali”

Spesso chi è digiuno di studi di architettura e di arte moderne fa più fatica ad apprezzare forme astratte di disegno, valutando piacevoli in modo innato linee più aderenti a quelle della natura, più leggibili e ancorate ancestralmente all’uomo, inequivocabile segno della connessione a doppio filo all’ habitat terrestre.

È vero altresì, che senza gli sperimentatori e gli studiosi, non esisterebbero la ruota, il fuoco, il vetro, internet, … Queste scoperte hanno portato con loro consapevolezze e aperto scenari che il design ha vestito di volta in volta, in maniera funzionale e apprezzabile dalle persone, che quindi, apprendono nuovi linguaggi estetici, essendovi immersi quotidianamente, nuovi modi e materiali, volumi e metodi d’impiego.

Questo fa sì che il bello muti col passare del tempo, e ciò che prima era meraviglioso oggi può sembrare inadeguato, vecchio e brutto; pensate ad esempio, all’evoluzione del design degli smartphone.

Anche in ambito della progettazione del verde urbano quindi, ci vuole evoluzione tecnica e scientifica, poiché le regole che davamo per inconfutabili negli anni 90, oggi, alla luce della ricerca, risultano errate o incomplete. Oggi, invece, si promuovono nuove associazioni vegetali, ci si pone obiettivi ecologici distinti, basati sulla raccolta di dati e sull’esperienza del passato.

Un giardino urbano inglese negli anni 80, figlio del suo tempo, oggi ci appare una cartolina anacronistica
FONTE: Ian Crump
Un parco pubblico contemporaneo che strizza l’occhio ad un disegno più azzardato, con forme morbide e spazi fruibili.
FONTE: deavita.fr

In conclusione, il gusto del bello, a mio avviso, è sì soggettivo, ma in un contesto pubblico l’estetica dovrebbe essere figlia dall’attualità, del contesto e delle finalità con le quali una proposta progettuale viene sviluppata perché, se è vero che un grammofono degli anni 20 possiede un fascino senza tempo quando è utilizzato come oggetto d’arredo, non sarebbe altrettanto apprezzato se nel 2025 si volessero ascoltare dei brani mp3 girando la manovella dell’apparecchio,  per produrre un suono analogico, ricco però delle sue caratteristiche imperfezioni.

Bello può essere associato a moderno, a conservativo, a minimal o a una realizzazione barocca, purché giustificata, ponderata e il più possibile condivisa.

“La bellezza è una forma di genio. Anzi, è più alta del genio, perché non richiede spiegazioni.”
O. Wilde